I circuiti cerebrali che presiedono all’immedesimazione nello stato d’animo degli altri e quelli che regolano il sentimento di cura verso chi soffre – due elementi essenziali dell’empatia – formano reti distinte, che coinvolgono però ampie aree cerebrali.
A differenza delle altre facoltà mentali, l’attività cerebrale associata all’empatia non è confinata in una specifica parte del cervello, ma coinvolge varie aree. Non solo: le aree coinvolte nella partecipazione affettiva alla sofferenza altrui sono distinte da quelle che intervengono quando sopravviene un sentimento di cura verso la persona con cui si empatizza.
A individuare questi due circuiti è stato un gruppo di neuroscienziati dell’Università del Colorado a Boulder, che firmano un articolo su “Cell”.
Gli psicologi distinguono tra empatia cognitiva, legata alla comprensione concettuale degli stati mentali degli altri, ed empatia affettiva, ossia la capacità di condividere o “simulare” al proprio interno lo stato d’animo altrui.
Vi è infine la cura empatica, ossia il sentimento di sollecitudine verso chi è in uno stato di sofferenza, che porta ad agire per alleviarne il disagio.
Empatia affettiva e cura empatica sono distinte perché uno stato di empatia particolarmente forte e/o protratto verso una vittima può generare sentimenti di fuga o il burnout, un meccanismo psicologico di difesa che si traduce in un comportamento improntato all’insensibilità o indifferenza, e che si manifesta con una certa frequenza nei professionisti della cura, come medici o infermieri.
Per verificare se a queste distinzioni psicologiche corrispondono differenti reti cerebrali,
Yoni K. Ashar e colleghi hanno studiato le reazioni di oltre 200 soggetti sottoponendoli a risonanza magnetica funzionale mentre ascoltavano il racconto di storie vere empaticamente cariche.
Ai partecipanti veniva anche chiesto di descrivere i sentimenti suscitati in loro da quelle storie, indicando quali delle cosiddette emozioni di base
(tristezza, disgusto, rabbia, paura, gioia, sorpresa) avevano provato.
Dall’analisi dei risultati è emerso che il sistema della cura empatica coinvolge le aree cerebrali preposte alla stima del valore e della ricompense, come la corteccia prefrontale ventromediale e la corteccia orbitofrontale mediale.
Al contrario, la sofferenza empatica coinvolge i sistemi che aiutano a immaginare ciò che un’altra persona sente o pensa, e in particolare la corteccia premotoria e la corteccia somatosensoriale primaria e secondaria.
La validità delle conclusioni è stata confermata dalla capacità dei ricercatori di prevedere, sulla base della sola osservazione dei risultati della risonanza magnetica funzionale, la descrizione dei sentimenti e gli atteggiamenti di cura di un gruppo di altri soggetti successivamente sottoposti allo stesso iter sperimentale.