Agli approcci standard si sono affiancati interventi di nuova generazione come la mindfulness per incrementare i risultati con disturbi come quelli d’ansia
La mindfulness può diventare un mezzo potente ed efficace per entrare in relazione con la propria esperienza interna, come quella di ansia o paura nei disturbi d’ansia, imparando a conoscerla e a riconoscerla ogni volta che si presenta alla nostra coscienza, e ad accettarla con pazienza e fiducia piuttosto che cercare di reprimerla; quindi grazie alla mindfulness, impareremo a “stare” con la nostra ansia piuttosto che a temerla e quindi evitarla.
L’ansia è una normale emozione della condizione umana che segnala una minaccia non ben definita. Infatti lo scopo principale a livello evoluzionistico è quello di segnalarci un pericolo imminente e di preparare il nostro organismo, attraverso l’attivazione del sistema nervoso simpatico e la secrezione di cortisolo, a due possibili reazioni ovvero quella di attacco o di fuga. Ma se nel mondo animale è molto più semplice individuare quali possono essere possibili fonti di pericolo, nel mondo umano è estremamente più complesso dare una definizione unica e certa di cosa può rappresentare un pericolo per un individuo. Per esempio tutto ciò che mette a repentaglio la propria sopravvivenza, oppure un pericolo può essere anche psicologico quando non è in gioco la vita stessa ma i problemi possono essere economici, relazionali, lavorativi, ecc. Anche la tempistica fa la differenza: infatti il pericolo può essere presente in questo preciso momento o può essere immaginato, prospettato nel futuro oppure anche ricordato da situazioni passate. Quindi, forse, per cercare di dare una definizione di pericolo nella nostra società, esso consiste in tutto ciò che possiamo descrivere come un problema, ovvero una questione che in un determinato momento della nostra vita ha bisogno di tutte le nostre energie, delle nostre risorse, della nostra attenzione per poter essere affrontato e che non può essere accantonato e tanto meno ignorato fino a quando non troviamo una soluzione. L’ansia diventa patologica oltrepassando i livelli di normalità quando il sistema dell’ansia si attiva anche in situazioni in cui non sarebbe necessario (come per esempio parlare in pubblico), quando raggiunge livelli di intensità tali da ridurre le capacità delle funzioni cognitive come per esempio l’attenzione o la memoria e infine quando questa attivazione si manifesta ripetutamente e costantemente per un periodo prolungato di tempo riducendo la qualità di vita della persona e causando una compromissione del funzionamento in ambito lavorativo, sociale o in altre aree importanti. In questi casi si può parlare di un vero e proprio disturbo d’ansia (American Psychiatric Association, 2000). Secondo il DSM5 sono classificati tra i Disturbi d’Ansia il disturbo d’ansia di separazione, il mutismo selettivo, la fobia specifica, la fobia sociale, il disturbo di panico, l’agorafobia, il disturbo d’ansia generalizzata e il disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci. Nonostante ci siano delle differenze significative tra i vari disturbi d’ansia, ci sono dei meccanismi cognitivi, emotivi, corporei e comportamentali che non solo mantengono ma addirittura alimentano tutti i disturbi d’ansia. Per spiegare alcuni di questi meccanismi tipici dei disturbi d’ansia diamo la parola ai pazienti.
L’altro giorno quando ero in treno ho cominciato a sentire che mi stava mancando l’aria, non riuscivo più a respirare, sentivo un forte caldo, un vuoto alla testa, non sapevo che cosa mi stesse succedendo, non riuscivo proprio a capire…mi sono impaurito tantissimo anche perché queste sensazioni continuavano a peggiorare sempre di più! Ho pensato che stessi per impazzire!
In questa situazione possiamo notare un’attenzione selettiva verso dei sintomi fisici (mancanza d’aria, caldo) e cognitivi (vuoto alla testa) che hanno fatto interpretare in modo catastrofico (catastrofizzazione) al paziente quello che stava succedendo.
Prima di ogni esame mi preoccupo tantissimo molti giorni prima, comincio a immaginarmi le situazioni peggiori… e se il prof mi farà domande alle quali non saprò rispondere? Potrei andare nel pallone, stare zitto…. Che figuraccia farei…magari potrei anche bocciare l’esame per l’ennesima volta… non riesco proprio a non pensarci, è un pensiero fisso che mi assilla, e più mi preoccupo e mi più mi agito. Capita anche che, proprio per tutta questa ansia dei giorni prima, non mi presenti all’esame e rimandi.
Questo paziente descrive un meccanismo tipico dell’ansia ovvero un pensiero ripetivo di preoccupazione chiamato rimuginio che alimenta un’ansia anticipatoria prima di situazioni che la persona può trovarsi ad affrontare portando a volte anche ad evitare l’esposizione all’evento temuto (non presentarsi all’esame).
Di solito porto sempre con me le goccioline che mi ha dato il mio psichiatra, una bottiglietta d’acqua nel caso in cui mi venisse un attacco di panico e tengo sempre il cell in mano per essere pronta a chiamare mio marito. Nonostante tutto questo, l’altro giorno, mentre stavo camminando per strada, ho sentito un forte dolore al petto, dei tremori in tutto il corpo, il cuore battere fortissimo…ho capito subito cosa mi stava succedendo, mi sta venendo un’altra volta un attacco di panico. Mi sono fermata, mi sono seduta per terra, non mi è servito a niente bere un po’ di acqua. Non sono più riuscita a muovermi fino a quando non è venuto a prendermi mio marito…quando è arrivato ero un po’ più tranquilla perché avevo già preso qualche gocciolina.
In questo esempio sono evidenti altri due meccanismi ovvero i comportamenti protettivi cioè tutti i comportamenti che vengono messi in atto per evitare le conseguenze temute (in questo caso portare con sé le goccioline date dallo psichiatra, l’acqua e tenere a portata di mano il cellulare) e la paura della paura cioè il timore che si possano provare nuovamente, come in momenti precedenti, sensazioni corporee legate all’ansia.
Durante una riunione con dei miei colleghi ho fatto vari interventi esprimendo di volta in volta le mie riflessioni e le mie opinioni. A un certo punto il mio capo mi ha fatto notare che avevo detto una cosa ormai non più attuale e avrei dovuto aggiornarmi di più. In quel momento sono diventato tutto rosso, la mia mente era vuota, non riuscivo più a concentrarmi su cosa dire o replicare, mi sembrava che tutti mi stessero guardando e stessero capendo che figuraccia avevo fatto e stessi facendo. Ho passato il resto della riunione in silenzio senza più intervenire continuando a ripensare continuamente a cosa era successo. Anche quando sono uscito da lavoro non riuscivo a levarmi dalla testa la figuraccia che avevo fatto alla riunione, mi tornava in mente in continuazione l’immagine di me completamente paonazzo e in difficoltà. So che tutti penseranno che sono uno strano, stupido e imbranato.
Nel racconto di questo paziente possiamo riscontrare l’astrazione selettiva ovvero di una situazione viene rilevato solo un aspetto, a discapito di altri (in questa situazione il momento in cui il paziente è stato ripreso perdendo invece tutti gli altri momenti positivi in cui era intervenuto), il pensiero dicotomico cioè il pensiero bianco/nero, tutto/niente (in questa situazione una critica ricevuta dal capo ha fatto sì che il paziente ricordasse questo evento come un totale fallimento) e infine la rivalutazione a posteriori più precisamente chiamata ruminazione (il ripensare e ancora ripensare concentrandosi nel ricordo di un’immagine negativa, goffa, impacciata di sé).
Negli ultimi anni a questi approcci standard sono stati affiancati interventi di nuova generazione come per esempio la mindfulness al fine di incrementare i risultati ottenuti a breve e a lungo termine per quanto riguarda varie psicopatologie fra cui i disturbi d’ansia (Feldman, 2007; Hayes, 2005; Lau & McMain, 2005; Orsillo & Roemer, 2005; Segal et al. , 2002).
Dopo aver osservato i meccanismi cognitivi, emotivi, corporei e comportamentali da vicino tipici dei disturbi d’ansia andiamo a vedere perché e in che modo la mindfulness può contribuire in modo efficace ad incrementare e a stabilizzare i miglioramenti ottenuti grazie agli approcci standard.
Tramite la pratiche di meditazione è possibile allenare una funzione cognitiva molto importante come quella dell’attenzione mantenendo un focus attentivo in modo intenzionale al momento presente in contrapposizione a un focus attentivo che di solito viene pilotato dai nostri automatismi oppure dalle nostre reazioni emotive. Durante le pratiche di meditazione, così come nella nostra vita quotidiana, facciamo esperienza del fatto che la nostra mente vaghi continuamente (mente scimmia). Questo è un fenomeno normale e può accadere un numero infinito di volte. Ma mentre stiamo praticando siamo invitati ad accorgerci di quando questo accade, riconoscere che cosa aveva distratto la nostra attenzione (per esempio un pensiero, un rumore, ecc.) e con gentilezza ed intenzionalità lasciare andare sullo sfondo questa distrazione per riportare la nostra attenzione su ciò su cui ci stavamo focalizzando in quel preciso momento della pratica di meditazione (per esempio il respiro oppure i punti di appoggio). Questo è già un atto di consapevolezza. E’ così che più pratichiamo più diventiamo consapevoli di cosa ci sta accadendo in un preciso momento a livello di pensieri, di sensazioni corporee e anche di emozioni del momento presente (Hahn, 1976; Kabat-Zinn, 1990); Salberg & Goldstein, 2001; Brantley, 2003).
La mindfulness diventa quindi un mezzo potente ed efficace per entrare in relazione con la propria esperienza interna, per esempio come può essere quella di ansia o paura come nei disturbi d’ansia, imparando a conoscerla con curiosità ed apertura e a riconoscerla ogni volta che si presenta alla nostra coscienza (questa è la mente del principiante, uno dei 7 pilastri della mindfulness; Kabat-Zinn,1990). La conoscenza dell’esperienza interna (pensieri, emozioni e sensazioni corporee) ci permette anche di accettarla con pazienza e fiducia piuttosto cercare di reprimerla, di contrastarla o di lottare contro la sua spiacevolezza (in questa frase ci sono altri 4 pilastri della mindfulness: accettazione, pazienza, fiducia e non cercare risultati; Kabat-Zinn, 1990). Quindi, grazie alla mindfulness, impararemo a “stare” con la nostra ansia piuttosto che a temerla e quindi evitarla.
Inoltre in questo modo possiamo assumere un punto di osservazione diverso da cui guardare la nostra esperienza interna, invece che essere fusi, identificati con essa, possiamo vederci distinti, distaccati come se fossimo su una sponda del fiume ad osservare il flusso di sensazioni corporee, di emozioni e anche di pensieri che in quel momento attraversano la nostra consapevolezza (Salzberg & Goldstein, 2001; Segal et al., 2002; Teasdale et al., 2002). Shapiro et al. (2006) scrivono a riguardo “invece di essere immersi nel dramma della propria narrazione o della storia di vita personale, riusciamo a fare un passo indietro e semplicemente ne diventiamo testimoni”. Nei disturbi d’ansia quindi sarà possibile per esempio riconoscere i propri pensieri come semplici eventi mentali e non come un’accurata descrizione della realtà e di conseguenza riconoscere quando siamo finiti nel fiume dei nostri pensieri, tornare sulla sponda del fiume e lasciare fluire e scorrere il fiume dei nostri pensieri (lasciar andare è un altro dei 7 pilastri della Mindfulness; Kabat-Zinn, 1990). Si ridurranno così di conseguenza processi come il rimuginio e la ruminazione.
E ancora a cascata la conoscenza, la consapevolezza, l’accettazione, il lasciare andare creano ulteriori circoli virtuosi invece che viziosi nei disturbi d’ansia. Infatti grazie a tutte queste abilità continuamente addestrate durante la mindfulness riusciamo anche a disattivare i piloti automatici che siamo soliti utilizzare continuamente senza la nostra consapevolezza, soprattutto in risposta alle nostre reazioni emotive. Alcuni piloti automatici tipici delle reazioni ansiose sono l’evitamento di situazione temute, il rumiginio, la ruminazione oppure strategie immunizzanti come per esempio abuso di alcool o sostanze che hanno l’effetto di ridurre momentaneamente lo stato ansioso ma che invece a lungo termine lo mantengono e lo alimentano.
Infine tramite la mindfulness alleniamo anche un’ altra abilità ovvero quella del non giudizio (un altro pilastro della Mindfulness; Kabat-Zinn, 1990) sia nei nostri confronti ma anche nei confronti degli altri. Durante le pratiche infatti impareremo a riconoscere questa tendenza naturale della nostra mente a voler giudicare tutto e tutti, osserveremo questo fenomeno come un pensiero, un semplice evento mentale, e così come gli altri pensieri lo lasceremo andare nel fiume dei nostri pensieri. Proviamo solo ad immaginare che effetti benevoli può avere questa abilità per le persone che presentano fobia sociale, che tendono ad essere molto critici verso se stessi. Ognuno di noi avrà quindi la possibilità di sviluppare una maggiore gentilezza compassionevole nei propri confronti e verso gli altri.
Quindi, concludendo, è evidente come la mindfulness possa essere un valido aiuto di integrazione sia agli interventi psicoterapaci che a quelli farmacologici risultati efficaci nel trattamento dei disturbi d’ansia a breve termine per interrompere i cicli di mantenimento tipici dell’ansia e a lungo termine per ridurre la vulnerabilità e quindi per mantenere e rafforzare i miglioramenti ottenuti nel tempo.
Tratto da www.stateofmind.it