L’obesità altera i meccanismi cerebrali che regolano il consumo di cibo, innescando un circolo vizioso che aggrava l’accumulo di grasso corporeo.
L’eccesso di cibo rispetto al fabbisogno calorico porta al sovrappeso e, al limite, all’obesità. Ma è vero anche il contrario: l’obesità porta a consumare cibo in eccesso, in un circolo vizioso difficile da interrompere, e anche da comprendere dal punto di vista fisiologico.
Uno studio condotto sui topi e pubblicato sulla rivista “Science” da Mark Rossi dell’Università della North Carolina a Chapel Hill, negli Stati Uniti, ha individuato ora le specifiche alterazioni cerebrali, dovute all’obesità, che letteralmente fanno “saltare i freni” del comportamento alimentare, spingendo a consumare cibo in modo patologico, e quindi ad aggravare l’accumulo di grasso corporeo.
Il processo si svolge nell’area ipotalamica laterale, una regione cerebrale che controlla la maggior parte delle funzioni fisiologiche correlate ai comportamenti motivati da un obiettivo, come quelli tesi alla sopravvivenza. Tra questi, sono fondamentali i comportamenti di alimentazione.
Studi condotti in passato sui topi, che sono un buon modello animale per i processi metabolici comuni a tutti i mammiferi, hanno dimostrato che le lesioni in quest’area alterano in modo irreversibile i meccanismi di regolazione del peso. Altre ricerche hanno poi accertato che scosse elettriche applicate nell’area possono indurre l’animale ad alimentarsi di più, oppure riprodurre la gratificazione che si ha normalmente dall’ingestione di cibo.
I circuiti cerebrali della voracità
Rossi e colleghi hanno studiato l’area ipotalamica laterale confrontando topi magri e topi obesi, alimentati con un apporto calorico normale o in eccesso. Hanno così identificato una specifica popolazione di cellule di quest’area, i neuroni glutamminergici, che hanno il compito di inibire il consumo di cibo una volta sazi in condizioni di salute. Nei topi obesi, tuttavia, il DNA di queste cellule è alterato, al punto che il meccanismo di ricompensa normale è molto attenuato.
Il risultato, per quanto ancora preliminare, è importante perché fa luce sui meccanismi neurologici che alterano i comportamenti legati all’alimentazione, su cui si avevano informazioni limitate. I dati raccolti potrebbero essere utili per contrastare l’epidemia di obesità, una condizione che attualmente riguarda circa 500 milioni di persone nel mondo: si tratta di una delle principali emergenze sanitarie globali, considerati i numeri in forte espansione, nei paesi sviluppati così come in quelli in via di sviluppo, ed è correlata con diversi disturbi e patologie, tra cui l’eccesso di colesterolo, l’ipertensione e il diabete.