L’errore cognitivo che spiega l’aggressività nei bambini.

I problemi cronici di aggressività nei bambini possono essere spiegati da un’esagerata tendenza ad attribuire intenzioni ostili ai coetanei: lo rivela un nuovo studio psicologico che ha coinvolto circa 1300 bambini di nove nazioni diverse. L’individuazione di questo processo psicologico potrebbe essere un punto di partenza per interventi mirati alla riduzione dei comportamenti aggressivi.

I conflitti interpersonali e la violenza si manifestano in tutto il mondo. Ma per quale motivo in alcuni contesti ecologici e gruppi culturali i bambini mostrano più problemi cronici di comportamento aggressivo rispetto a quelli di altri contesti e gruppi?

Secondo un nuovo studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” da Kenneth A. Dodge della Duke Uny a Durham, nel North Carolina, e colleghi di una collaborazione internazionale, la risposta queste differenze è in un’esagerata tendenza ad attribuire intenti ostili alle altre persone: un “errore cognitivo” che provoca un’elevato livello di ansia e di risposta aggressiva ai comportamenti degli altri.

L’ipotesi di partenza di Dodge e colleghi è che in termini evolutivi l’interpretazione benevola di comportamenti ambigui è favorita poiché consente un vantaggio adattativo del gruppo e aumenta la cooperazione. Tuttavia, come dimostrano studi sui macachi e sugli esseri umani, ci sono contesti che sembrano incoraggiare un comportamento diverso, che prevede una condizione d’ipervigilanza verso le minacce, l’attribuzione di intenzioni ostili ai comportamenti ambigui e infine una risposta aggressiva.

Dodge e colleghi hanno coinvolto nel loro studio 1299 bambini di età media di 8,3 anni, per il 51 per cento di sesso femminile, che vivevano in nove nazioni del mondo e in 12 contesti differenti. Ogni bambino è stato seguito per quattro anni e ogni anno è stato sottoposto a una serie di test, in cui doveva dare la propria interpretazione su situazioni rappresentate in alcuni disegni, individuando in particolare se uno dei personaggi avesse un intento ostile e se fosse prevedibile una risposta aggressiva da parte di un altro personaggio. Gli autori hanno valutato inoltre se i bambini e le loro madri
avessero problemi di aggressività cronica nella vita reale.

Al termine dei quattro anni di studio, l’analisi statistica delle risposte ha dimostrato una correlazione significativa tra la tendenza eccessiva ad attribuire intenti ostili ai personaggi del test e i problemi di aggressività cronica. Inoltre, è emerso che, indipendentemente dal contesto di appartenenza, i bambini prevedevano più spesso una risposta aggressiva del secondo personaggio quando l’atteggiamento del primo veniva interpretato come ostile.

Statisticamente, questo riesce a spiegare le differenze di aggressività tra i diversi gruppi, dimostrando l’influenza di un processo psicologico su cui sarebbe possibile intervenire con progetti educativi per prevenire i comportamenti aggressivi.

Tratto da: www.lescienze.it

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